Eugenio MIccini Poeta lineare con “Sonetto Minore”

Improvvisamente immagino il cielo

Interminabile se può la rondine

Schizzare limpida, pungere il velo

Opaco del mattino, quando facile

 

Non è l’impennata che a giro d’angelo

Svolio d’altre compagne imbroglia e districa.

Spazio per altri : via da questo gelo

deve chi come me vacilla e dubita.

 

Giorni di noia e fissità. Come ebbre

Aspettano le passere nei grigi

Ricettacoli un momento di febbre.

 

Guardo sui tetti segni di prodigi:

tra i coppi e gli embrici spuntano erbe

grasse. Nuove stagioni aspetto vigili.

 

Con questa poesia si apre “Sonetto Minore” la raccolta di poesie scritte da Eugenio Miccini e pubblicate da Vallecchi nella Collana Le Ginestre dedicata alla poesia contemporanea e diretta da Carlo Betocchi e Mario Luzi, nel 1964.

Il testo, oggi introvabile se non nel mercato antiquario, è una raccolta di 77 poesie scelte, edite e inedite che accompagnano la sua appassionata partecipazione alla disputa che si venne a creare nelle riviste Quartiere e Protocolli alle quali lui stesso collaborò, sulla funzione della poesia nei confronti con le varie scienze e sul linguaggio della poesia inteso come tipo di comunicazione.

“ La sua poesia – si legge nella presentazione al testo – tiene d’occhio indubbiamente quel genere di problemi, si sviluppa secondo una dialettica non sempre interna, talora prevista, che richiama al crogiolo culturale dove affonda anche lui il suo mestolo; ma essa traduce prima di tutto l’aspetto concreto e civile della sua natura, nasce da un confronto elementare e patetico con le cose della fisis e della polis, se si può dire; cosicché il dilemma tra esigenza e ragione, tema comune di questo gruppo di scrittori fiorentini che ancora non hanno abdicato al secondo termine e neppure intendono ironizzare sul primo, poggia su un fondamento sicuro almeno in questo, che è formato di materia vissuta allo stato di emozione e nei momenti migliori allo stato di esperienza. In genere la poesia di Miccini muove dalla enunciazione di oggetti sintomatici, sia pure nella loro insignificanza e usura, a esprimere una condizione umana da riscattare con l’intelligenza e da redimere…”

 

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