“Filippo De Pisis L’illusione della superficialità” in mostra al Museo Novecento

«Lo chiamano superficiale, questo pittore, e non si rendono conto dei novemila metri di profondità ch’egli raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro […] De Pisis sa regalare ai disattenti l’illusione della superficialità» (Elio Vittorini). Dal 18 marzo al 7 settembre 2022 il Museo Novecento ospita un progetto inedito dedicato a uno dei più grandi pittori del primo Novecento presenti nelle collezioni del museo: Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956). La mostra, Filippo de Pisis. L’illusione della superficialità, nata da un’idea di Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento, è co-curata da Lucia Mannini e organizzata in collaborazione con l’Associazione per Filippo de Pisis. 

Traendo spunto dalle parole scritte da Elio Vittorini in occasione della personale tenuta da de Pisis a Firenze nel gennaio del 1933, l’esposizione indaga alcuni temi portanti della produzione artistica di una delle personalità più complesse del primo Novecento italiano Accusato spesso di perseguire una pittura dalla “superficialità decorativa” di matrice neo-impressionista
– per via della pennellata rapida e leggera e dei piacevoli accostamenti cromatici – de Pisis ha invece costruito molti dei suoi maggiori dipinti tramite un gioco di rimandi e riferimenti, autobiografici e culturali. La «leggerezza di tocco» e la «facile contentatura negli accordi tonali» non escludevano, infatti, per Vittorini la «potenza rappresentativa» o «evocativa» o «espressiva» delle sue opere, ma anzi, gli riconosceva di saper esprimere con minimi mezzi, e quasi sfiorando appena la tela con il pennello, «l’intima vitalità delle cose»

Costruita secondo un andamento tematico, la mostra intende sottolineare questa complessità attraverso un’attenta e studiata selezione di opere nelle quali l’artista ha adottato espedienti come il “quadro nel quadro”, la mise en abyme della rappresentazione visiva, l’evocazione degli strumenti del mestiere, la composizione allegorica che talvolta funziona come un rebus. Come già al tempo rilevato dalla critica più accorta, la magica e misteriosa sospensione tra realtà e irrealtà
è protagonista delle nature morte di de Pisis (Waldemar George, 1928) anche quando è una tela vuota a sollecitare nell’osservatore una riflessione, invitandolo a indagare più in profondità il senso delle cose esibite in un dipinto e andando oltre la piacevolezza visiva della sua pittura. Scriveva sempre Vittorini: nei suoi dipinti «le cose riescono ad associarsi in atmosfere volta a volta sinistre o gloriose, cioè di meraviglia».

Sulla superficie del quadro, che di fatto è una composizione di storie e di immagini a chiave, si celano dunque messaggi, spesso con riferimenti autobiografici e si mette in guardia contro l’illusorietà della
figurazione, contro la finzione che la pittura mette in scena, riconoscendo come il linguaggio figurativo si nutra della pittura e torni ad essa. Un affinamento singolare delle strategie metafisiche adottate da Giorgio de Chirico e un modo di giocare con il linguaggio, appreso grazie alla conoscenza del mondo Dada e all’amicizia con Tristan Tzara, che de Pisis sviluppa in una propria sintesi in grado di stare dentro le avanguardie con un piede nel “museo”.

Oltre ai “giochi illusionistici”, all’interno del percorso espositivo vengono indagati i richiami culturali e visivi che de Pisis ha composto attingendo a un vasto repertorio, dalla classicità al Seicento, dall’Impressionismo alla contemporaneità (Giorgio de Chirico, Carlo Carrà etc.), con una proposta di affinità che tendono al transfert. “È stato avvincente intrecciare la lettura dei testi di de Pisis, sia le pagine autobiografiche sia i saggi sull’arte, con l’analisi dei dipinti e quindi andare a scovare quelli che meglio potessero chiarire le modalità con le quali era solito ricomporvi quegli oggetti che avevano per lui un valore medianico” dichiara Lucia Mannini, curatrice della mostra. “Grazie alla adesione dei musei e del collezionismo, è stato possibile
affiancare dipinti che si rivelano di fatto degli intriganti collages, condotti senza rifiutare il mestiere e la il mestiere e la
tecnica ma anzi avvalendosi della sua proverbiale facilità di esecuzione, e che si palesano anche come
frammenti autobiografici, come pagine di un diario”.

La selezione di opere esposte, provenienti da musei nazionali e internazionali (tra cui il Centre Pompidou), da istituzioni e collezioni private, oltre che dai depositi del Museo Novecento, è arricchita dalla presenza di alcuni interventi site-specific dell’artista Luca Vitone (Genova, 1964), da sempre affascinato dalla figura di de Pisis, sia come artista sia come intellettuale. Vitone dialoga con le opere in mostra presentando una carta da parati e un’installazione, che intrecciano le vicende biografiche e artistiche dei due autori.

La mostra, inoltre, dialoga con la personale di Giulio Paolini (Genova, 1940), ospitata nelle sale espositive al piano terra del museo, creando un ponte tra tre generazioni di artisti italiani, de Pisis – Paolini – Vitone, e facendo emergere un’inedita corrispondenza tra i loro linguaggi e modalità “concettuali” di affrontare la “illusione della superficialità”. L’esposizione sarà accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo con contributi da parte dei curatori della mostra, di studiosi e di critici d’arte tra cui Maria Cristina Bandera, Paolo Campiglio e Luca Scarlini.

 

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